FAITH: come comunicare nel contesto multiculturale.
L’etnopsichiatria e l’antropologia culturale hanno da tempo richiamato l’attenzione sulle differenti concezioni di salute e malattia, nonché dell’agire medico, ma ancor più sulle diverse concezioni del corpo e delle sue parti.
Se da una parte il corpo appare come l’ultima frontiera della natura, in virtù dell’apparente immediatezza con cui se ne fa esperienza, dall’altro la struttura di questa esperienza, nonché la stessa idea di corpo e la formulazione delle metafore che danno ordine alla corporeità sono profondamente culturali e trovano forma nelle parole che si usano e nei comportamenti che si adottano.
La parola “ricordare” ha la sua etimologia nel latino cor -cuore- perché è nel cuore, secondo i Latini che si intrecciano e mantengono i cuoi. Un cinese non dirà mai ti amo con tutto il cuore, ma si esprimerà con “ti amo con tutto il fegato”. Nei reni, secondo molte culture risiede il coraggio… La pratica medica occidentale tende per sua natura ad appiattire differenze culturali e non sempre riesce ad accogliere differenze di concezioni, adottando una razionalità e un senso dell’agire che non è però riconosciuto valido da parte di tutti. In una società multiculturale questo può porre dei problemi che in un sistema sanitario a copertura universale è opportuno saper affrontare. Tra questi c’è la questione trapianti – sia al momento della donazione, sia al momento dell’impianto. La presenza di migranti e concittadini di etnie e culture diverse deve essere assunta come punto di partenza per attivare processi di inclusività.
Il progetto FAITH è stato presentato durante gli “Stati generali della Rete Trapiantologica Italiana” da Alessandra A. Grossi del Dipartimento di Scienze Umane e dell’Innovazione per il Territorio dell’Università dell’Insubria, nonché afferente al Centro di Ricerca in etica Clinica.
FAITH è un acronimo che sta per Fostering And Improving equity partecipation and inclusion in Trasplantation Healthcare. La comunicazione – ha rilevato Grossi- ha un ruolo centrale nel processo donazione-trapianto, la cui gestione è complessa per il valore simbolico di molti concetti chiave, tanto più alla luce della diversità culturale che vige nel retroterra sia di chi dona sia di chi riceve. L’operatore sanitario deve confrontarsi con queste diversità.
L’aumento costante della presenza straniera in Italia – regolare e non – fa da sottofondo a quei 4.340 pazienti di origine straniera che hanno ricevuto un trapianto nel decennio 2012 -2022 e alle molte opposizioni manifestate che si caratterizzano in modo marcato sulla base della nazione natia. Tutto questo produce ineguaglianze sia nella donazione sia nei trapianti, come conclude uno studio del 2023 – primo autore Grossi-: “Mentre questi pazienti sono sempre più rappresentati tra i riceventi di trapianto (in particolare trapianti di rene e fegato), i tassi di rifiuto della donazione di organi sono più elevati in alcuni gruppi etnici rispetto ai referenti nativi e ad altri nati all’estero, con i potenziali effetti a seguito di tempi di attesa prolungati con risultati inferiori del trapianto”. Questo problema non è solo proprio dell’Italia, ma investe i sistemi sanitari europei suggerendo la necessità di un approccio multidisciplinare tra i diversi attori che agiscono sulla scena donazione-trapianti. Si tratta di affrontare la questione considerando le implicazioni etiche, teoriche e pratiche degli interventi personalizzati nelle diverse popolazioni lungo il continuum donazione-trapianto. Occorre quindi una comunicazione strutturata e mirata in grado di informare e ingaggiare le comunità di persone dell’Est e del Mediterraneo – le loro culture e le loro fedi- al fine di adottare interventi accettati sulla persona. La necessità è di adottare degli interventi sistemici rivolti a comunità e cittadini stranieri, ma anche a chi si relaziona con lorio e ai contesti in cui hanno luogo questi processi. Per far questo occorre studiare e definire i termini del problema e individuare possibili vie praticabili.
Nel presentare le diverse iniziative e i progetti di ricerca avviati con il coinvolgimento dei diversi stakeholders, Grossi ha così sintetizzato:
“Promuovere processi informativi, decisionali, relazionali e di gestione del processo trapiantologico informati, condivisi e adattati alle esigenze specifiche delle comunità e dei cittadini stranieri il progetto FAITH intende sviluppare azioni specifiche rivolte, tanto a loro, quanto alle istituzioni e agli operatori sanitari delle terapie intensive, dei COP e dei centri trapianti”.